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Da "A sud di Band Aid – Il product placement nella comunicazione aziendale" © Gerardo Corti, il primo capitolo completo della storia del product placement dai Lumierè ai giorni nostri. Il capitolo più utilizzato per tesi, articoli e saggi sull'argomento finalmente a disposizione nella sua versione integrale.
La svolta del product
placement negli anni ’70.
Perché ostinarvi a vivere,
quando noi possiamo
seppellirvi per 49.50 dollari?
James Wood
Negli anni
sessanta si assiste ad una svolta nella filmografia Hollywoodiana. La nascita di
vari movimenti, l’estinzione del codice Hays, la decadenza del divismo
a favore del metodo Stanislavskij, una nuova generazione di registi, l’arrivo di
un nuovo cinema indipendente e la nascita di nuovi generi costringono ad una
svolta anche per il product placement.
Da questo
momento la Pepsi
non si troverà solo a contatto con dive riconosciute come
la Crawford o
la Davis, ma sarà anche a contatto con
sexy starlette come Lorna Maitland nel morboso
Lorna (Russ Meyer, Usa, 1964) o alle
varie Babette Bardot, Diane Young, Donna X e le altre strippers del film
“documentario” Mondo topless (Russ
Meyer, Usa, 1966) e il suo scopo non sarà più solo quello di dissetare ma potrà
essere usata in moltissimi altri modi, come succede per le bottiglie molotov
scagliate contro Marlon Brando e Robert Redford nel finale de
La caccia (The chase, Arthur Penn, Usa 1966).
Ovviamente
Pepsi non è la sola, qualunque oggetto può essere usato da qualunque
personaggio, buono o cattivo che sia e il logo può apparire ovunque, persino
sulla maglietta di uno dei protagonisti di un film su Gesù, come succede a
Coca-Cola in Jesus Christ Superstar
(Norman Jewison, Usa, 1973).
La serie
delle citazioni potrebbe essere lunghissima, si va dalla scatola di tea Lipton
utilissima a Duane Jones (contiene chiodi) per barricare porte e finestre e
respingere l’assedio dei morti ne La notte
dei morti viventi (The night of the
living dead, George A. Romero, Usa, 1968), alle
bottiglie di Johnny Walker usate per la comunione nel tempio di Marilyn in
Tommy (Ken Russell, Gb, 1975).
Cominciano a nascere le prime agenzie specializzate in
product placement e da questo momento le marche collaboreranno sempre di più
fornendo aiuti finanziari, oggetti, consulenze e addirittura prodotti progettati
esclusivamente per il film.
Emblematico rimane il caso di 2001:
odissea nello spazio (2001: a space
odyssey, Stanley Kubrick, Usa, 1968), per il quale Kubrick riuscì ad
attrarre l’interesse di alcune società impegnate nella tecnologia aerospaziale.
Le
industrie contribuirono con idee e design in cambio dell’apparizione dei loro
marchi nel film. Le industrie coinvolte furono NASA, Honeywell, Boeing, Bell
Telephone, General Dynamics, General Electric, RCA, Chrysler. Hilton ebbe il
primo hotel in orbita intorno alla terra (22 anni dopo ne aprirà uno su Marte
per Atto di forza, Total Recall, Paul
Verhoeven, Usa, 1990), IBM fornì consulenza per i computer e non solo ebbe il
logo, ma anche il nome del computer “protagonista” della terza parte del film:
HAL 9000. Basta infatti prendere il nome del computer che parla, pensa, guida ed
è l’unico informato sulla missione, prendere la successiva di ogni lettera che
compone il suo nome per ottenere IBM. La Parker Brothers,
invece, fu l’unica “esclusa”. Progettò un gioco con il quale avrebbero dovuto
giocare gli astronauti. Se ne fecero 5 esemplari, ma dopo il film, il gioco
sarebbe stato prodotto in serie. La scena però fu tagliata ed il gioco rimase
nel cassetto.
Un altro
esempio di come le marche capiscono l’importanza del loro logo nel film e le
tendenze delle nuove generazioni è sicuramente costituito dal film horror.
Passando
in rassegna alcuni fra i più importanti ed inquietanti film di questi anni, si
scopre che sia Lo squalo (The Jaws, Steven Spielberg, Usa,
1975) che L’esorcista (The exorcist, William Friedkin, Usa, 1973) hanno come comprimari Coca-Cola,
mentre i Ghoulies e i Pomodori assassini Pepsi. Nel motel di
Quel motel vicino alla palude (Death trap, Tobe Hooper, Usa, 1973)
si serve Pepsi prima di dare i clienti in pasto ai coccodrilli, al contrario di
quello (con Coca) in cui arrivano i vermi ne
I carnivori venuti dalla savana (The squirm, Jeff Lieberman, Usa, 1976). Le future vittime della famiglia cannibale di
Le colline hanno gli occhi (Hills have
eyes, Wes Craven, Usa, 1978) bevono Coca-Cola mentre quelle del serial
killer di Psycho cop (Wallace Proft,
Usa, 1987) hanno bicchieri Pepsi. Ma il fenomeno più interessante è quello delle
serie, dove il serial killer di turno viene di volta in volta soffiato alla
concorrente come è successo per la serie “Venerdì 13”, “Nightmare”, “Scream” e così via.
In
Non aprite quella porta (The Texas chainsaw massacre, Tobe
Hooper, Usa, 1974) il distributore di benzina, dove si fermano i ragazzi e che
si rivelerà essere il quartier generale di Leatherface e della sua allegra
famigliola cannibale, è completamente sponsorizzato Coca-Cola (dai cartelli,
agli adesivi al distributore di bottigliette dal quale si servono le ragazze del
gruppo).
La situazione è
identica nel terzo capitolo, o meglio nel remake di questo film (Leatherface: the Texas chainsaw massacre 3 di Jeff Burr, 1989) però la
stazione di servizio è sponsorizzata dalla Pepsi ed ha un distributore Pepsi.
Che la
situazione sia tenuta sotto controllo e monitorata dalle aziende si capisce
anche dal fatto che uno l’unico caso documentato in cui Coca-Cola ha fatto causa
a un film per come è stato usato il product placement è quello di
Assassini nati (Natural born killers, Oliver Stoone, Usa, 1994) dove il marchio appariva
durante una scena di violenza collettiva fatta da due serial killer
profondamente diversi dagli “eroi” di Venerdì 13, Nightmare o Texas Chainsaw
Massacre.
Al lato
opposto dell’horror troviamo l’hard, divenuto ufficiale nel 72 con
Deep throat, Behind the green door
e Devil in Miss Jones.
Da questo momento anche loro avranno la loro dose di product placement (con
prevalenza di alcolici, tabacchi, birre, ma col tempo anche altre marche
proveranno ad intrufolarsi).
Solo per
dovere di cronaca in Deep throat
(Gerard Damiano, Usa, 1972) si beve
Bud e si usa Coca-Cola, in
The devil in miss Jones (Gerard
Damiano, Usa, 1973) Georgina Spelvin
beve il Macallan mentre per quanto riguarda
Behind the green door (Dietro la porta verde, James & Artie
Mitchell, Usa, 1973) è interessante analizzare il caso di Ivory Snow.
Pubblicità della sua impresa di pompe funebri in
C’era una volta in America, Once upon a
time in America, Sergio Leone, Usa, 1984.
Codice di
autocensura che vietava di inserire determinati argomenti tabù all’interno di un
film.
Scena poi
misteriosamente scomparsa nella riedizione ripulita ed ampliata in occasione del
trentennale da John A. Russo, nella quale, fra l’altro, compaiono nuove brand
rispetto all’originale.
Vincent
LoBrutto, Stanley Kubrick, L’uomo dietro
la leggenda, Il castoro, Milano, 1999.
Anche se
Kubrick smentì che ci fosse un collegamento, affermando che il nome era
solamente formato dalle iniziali delle parole Euristica (Heuristic) e Algoritmo
(Pierre Giuliani, Stanley Kubrick,
Èditions Rivages, Parigi, 1990).
Se può
sembrare assurdo che la Coca vi appaia, è consigliata la visione del
film hongkongese del 1992 The untold
story: human mean roast pork buns (Bunman) di Herman Yau. Film completamente delirante e malsano nel quale un
ristoratore cannibale, in confronto al quale Leatherface sembra un bontempone,
ha fuori dal suo ristorante un’enorme bottiglia di Coca-Cola.
Gola
profonda
ma in
Italia per molto tempo circolò, a causa dell’appropriazione del titolo da parte
di Deep throat 2 (Joseph W. Sarno,
Usa, 1973, sempre con Linda Lovelace ed Harry Reems ma decurtato delle scene
hard), col titolo originale Deep throat
o come La vera gola profonda.
La scena
è da antologia ed è diventata un cult. Si può solo dire che ha per sottofondo la
canzone di Natale della pubblicità Coca-Cola negli settanta e ottanta.
Marilyn Chambers, la ragazza acqua e
sapone della pubblicità di Ivory Snow sconvolse l’America (e la ditta di
detersivo) apparendo nel film. Ivory Snow tentò di correre ai ripari finché non
si rese conto che la cosa poteva procurarle una grossissima pubblicità.