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Da "A sud di Band Aid – Il product placement nella comunicazione aziendale" © Gerardo Corti, il primo capitolo completo della storia del product placement dai Lumierè ai giorni nostri. Il capitolo più utilizzato per tesi, articoli e saggi sull'argomento finalmente a disposizione nella sua versione integrale.
Gli anni ’90 in
America.
Una volta eravamo
malati di pornografia,
adesso siamo malati di arredografia.
Edward Norton
Anni
novanta, la pubblicità trionfa. Nei film americani le marche, gli oggetti
vengono usati e citati in maniera sempre più esplicita e sensazionale.
In questi
anni abbiamo visto la
Coca-Cola utilizzata per trovare un modo per sconfiggere gli
alieni in Independence days (Roland Emmerich, Usa, 1996), il
cellulare Ericsson usato da James Bond per guidare
la BMW in
007 il domani non muore mai (Tomorrow never dies, Roger
Spoottiswoode, Usa, 1998), una pioggia di Mars, Bounty e M&M’s come primo
desiderio da fare ad un genio in Kazaam il
gigante rap (Kazaam, Paul M.
Gloser, Usa, 1996), Tic Tac dati in dono da Babbo Natale a Kevin in
Mamma ho perso l’aereo (Home alone, Chris Columbus, Usa,
1990), stecche di Marlboro portate come souvenir della terra dagli alieni che
stanno scappando in Men in black
(Barry Sonnenfeld, Usa, 1997), il distributore Pepsi Cola coinvolto in
un’incredibile sparatoria in Matrix
(Larry & Andy Wachowski, Usa, 1998) e
così via.
Solo negli
ultimi mesi del decennio il cinema americano ha mostrato che
la Pepsi è la più grande alleata dei
cavalieri Jedi contro lo strapotere dell’impero (Star wars - episodio I: la minaccia
fantasma, George Lucas, 1999), che il Glen Livet 12 anni è una delle poche
cose che possono darti soddisfazione quando sei sperduto nel deserto (La mummia, The mummy, Stephen
Sommers, Usa, 1999), che se vuoi viaggiare nel tempo devi usare
la New Beetle (Austin Power - La spia che ci provava,
Austin Power - The spy who shagged me, Jay Roach, Usa, 1999), che se vuoi
rubare un quadro nel museo più protetto del mondo puoi bloccare le porte
d’acciaio con una Samsonite (Gioco a due,
The Thomas Crown affair, John McTiernan, Usa, 1999) o puoi utilizzare
attrezzature Siemens per violare i computer della madre di tutte le banche (Entrapment - In trappola, Jon Amiel,
Usa,1999), che se vuoi spiare la tua peggior nemica devi utilizzare apparecchi
Sony (Cruel intentions - Prima regola non
innamorarsi, Roger Kumble, Usa, 1999) gli stessi che si possono usare per
controllare un branco di squali mutanti (Blu
profondo, Renny Harlin, Usa, 1999), che le sigarette migliori sono le Camel
(Instinct - Istinto primordiale, Jon
Turteltaub, Usa, 1999), che se vuoi indossare degli stivali da urlo devi andare
da Prada a Milano o a New York (Haunting -
Presenze, Jan De Bont, Usa, 1999), che il posto migliore per nascondere gli
spinelli sono le scatole di Band Aid (Eyes
wide shut, Stanley Kubrick, Gb, 1999), che un grande attore di Hollywood
veste Kenzo (Bowfinger, Frank Oz, Usa,
1999), che una grande attrice di Hollywood se va a Londra alloggia al Ritz o al
Savoy (Notting Hill, Roger Michell,
Gb, 1999), che nell’estate satanica del 1977 si beveva Pepsi (Summer of Sam, Spike Lee, Usa, 1999)
e che la “cosa” delle donne è come la torta di mele di McDonald’s (American pie, Paul Weitz, Usa, 1999).
Harrison
Ford, dopo aver avuto una notte d’amore con Kristin Scott Thomas, entrambi
vedovi che hanno scoperto che i rispettivi coniugi erano amanti, va in cucina a
farsi una birra. Entra la Thomas,
lo abbraccia e chiede: “Che cos’è (che ci sta succedendo. n.d.r.)?” Risposta:
“Una Heineken.” (Destini incrociati, Random hearts, Sydney Pollack, Usa, 1999)
Nel film
che avrebbe dovuto chiudere il millennio:
Giorni contati (End of days, Peter
Hyams, Usa, 1999) sono presenti Campari (quasi subliminale nella scena del
diavolo che si impossessa del corpo di Gabriel Byrne), GMC (classiche auto
guidate da Arnold Schwarzenegger), Pizza hut, Maxwell, Bud e altri fra i quali
Burger King.
Ma il vero
film scandalo di chiusura millennio è stato sicuramente
Fight club con Brad Pitt. Film “pericolosamente fascista ed immorale” (Paolo
Mereghetti, Ciak), “anticonsumistico e nichilista” (David Rooney, Variety)
“assolutamente brutale. Ma è il prezzo da pagare per uno dei rarissimi film che
non abbandonano la tua mente, anche a distanza di giorni.” (Marlene Arpe, Eye
weekly).
Durante il
film spiegano come si costruisce e come funziona un messaggio subliminale (anche
se più anatomico che pubblicitario “non l’avete visto, ma sapete di averlo
visto.”), e ha lui stesso il messaggio subliminale (fra l’ultima scena ed i
titoli di coda). Si cita IBM ma si usa MacIntosh e si vede il logo della Apple.
Il
protagonista, prima che la sua avventura di Fight club cominci, dice di aver
perso la sua valigia con camicie Calvin Klein e le sue cravatte Emporio Armani,
poi, mentre cammina per strada con Brad Pitt, passa davanti ad un cartello Gucci
(quello del modello nudo di schiena) che ritrova subito dopo su un pullman.
Ovviamente di cosa possono parlare se non del sedere del modello e
sull’importanza della lotta per modellare il proprio?
Siamo in
un mondo in Low clutter per quanto riguarda
Pepsi Cola. Tutto dai distributori, ai cartelli nel locale di fight club, ai
bicchieri che bevono i bambini al cinema sono Pepsi Cola. Così come per Bud e
Mountain Dew e il caffè Starbucks. C’è persino una sorta di pubblicità
comparativa riguardo le macchine della Ford da lasciare in pace e le BMW e le
Volkswagen da distruggere. Ma la cosa più bella è senza dubbio la pubblicità
dell’Ikea. Il protagonista guarda il catalogo, dice di essere drogato dall’Ikea,
la cinepresa spazia nell’appartamento vuoto che velocemente si riempie e si
arreda di oggetti Ikea, il protagonista comincia a camminarci all’interno come
fosse in un catalogo mentre i prezzi cominciano a navigare nell’aria. Geniale.
Gli anni
novanta segnano per di più una svolta mondiale nel product placement dove è quasi impossibile vedere un film di
qualunque cinematografia senza una marca. Ne è un esempio la prima produzione
cinematografica del Bhutan,
La coppa (Phörpa, Khyentse Norbu,
1999), interpretato da veri monaci del monastero di Chokling, i monaci girano
per il primo quarto d’ora con una lattina di Coca-Cola in mano. Non solo ma ci
giocano anche a calcio ed il vecchio monaco indovino fa collezione di lattine
portacandele.
Fight club,
David Fincher,
Usa, 1999.
Sull’importanza di un mondo in low clutter torneremo nel capitolo 4.
Anche se
con capitali australiani.